venerdì 30 marzo 2018

'A cuzzupa e la tradizione



Oggi vi ripropongo la ricetta più tipica della Pasqua calabrese: 'a cuzzupa, il dolce semplice che scalda il cuore. Le versioni sono tante, in quanto ogni famiglia ha il suo ingrediente segreto, ma tutte sono ugualmente buone. C'è chi usa il lievito madre, chi il lievito di birra oppure quello disidratato, l'importante alla fine è che la cuzzupa sia soffice, morbidosa. Stavolta mi sono divertita con le forme e, seguendo il filo dei ricordi, ho messo pure le uova. 
Secondo la tradizione le uova utilizzate per la decorazione dovrebbero essere quelle deposte dalle galline ( certamente per chi ha un pollaio ) nei giorni 24/25 marzo, data del concepimento di Gesù. E sempre tra il sacro e il profano, in epoca magnogreca questo pane dolce dalla forma circolare veniva preparato per celebrare la primavera e la rinascita. E l'uovo è proprio il simbolo della nascita e della resurrezione. Ma, poichè durante il periodo quaresimale era vietato consumare cibi di origine animale, l'uovo veniva incastonato sulla cuzzupa e mangiato alla fine del digiuno, cioè la mattina di Pasqua. E sempre parlando di tradizioni si racconta che la preparazione delle cuzzupe non poteva avvenire il Venerdì Santo per il divieto di mangiare carni e di manipolare alimenti di origine animale come la sugna. E infatti era il Giovedì Santo che le impastavamo con mia mamma, anche sei poi si infornavano il Sabato Santo se... le temperature erano basse, se...era stato messo troppo zucchero, se...
Ricordate comunque che:
- le uova debbono essere sempre in numero dispari;
- la dimensione della cuzzupa è sempre proporzuonata all'età;
- vige ancora per i fidanzati il detto " cu' novi rinnova, cu' setti s'assetta". Se la suocera regala al ragazzo una cuzzupa con nove uova il fidanzamento continua, se invece sono sette il matrimonio è prossimo.
Ecco le mie cuzzupe appena sfornate!


La mia ricetta delle cuzzupe la trovate qui, leggermente diversa da quella tradizionale per l'uso del lievito di birra e per una lievitazione aggiuntiva che mi permette di averle più soffici.


giovedì 22 marzo 2018

Biscotti al farro ripieni




La morbidezza e la bontà di questi biscotti vi conquisterà al primo morso. Avevo provato altre volte la farina di farro e il risultato non mi ha mai deluso. Così stavolta l'ho utilizzata per preparare questi deliziosi frollini che ho farcito con frutta secca e marmellata di limone: uno scrigno godurioso dal gusto avvolgente e agrumato. Serviteli per una prima colazione corroborante, a merenda con una tazza di tè caldo oppure sgranocchiateli quando ne avete voglia.
Ingredienti
100 gr di farina di farro
50 gr di farina 00
100 gr di zucchero integrale di canna
80 gr di burro freddo
1 uovo
1/2 cucchiaino di lievito
buccia di un limone

Per la farcia
50 gr di noci
50 gr di nocciole
un ccucchiaio di uva passa
un cucchiaio di zucchero di canna
scorzette d'arancia candite
un cucchiaio di marmellata di limoni ( qui )
buccia di limone e di arancia
zucchero di canna a velo per lo spolvero finale.

Preparazione
In una ciotola versatevi le farine setacciate con il lievito, lo zucchero e la buccia del limone grattugiata. Unite quindi il burro e lavorate il composto fino ad avere una consistenza sabbiosa. Aggiungete l'uovo e lavorate fino ad avere un panetto morbido che metterete in frigo avvolto nella pellicola trasparente.
Per la farcia frullate in un robot le noci e le nocciole insieme allo zucchero e alle bucce di limone e di arancia. Amalgamate il tutto con la marmellata di limoni. Tenete presente che il composto non deve essere morbido.
Trascorso il tempo di riposo, trasferite la frolla su un piano infarinato e dividetela a metà. Stendete l'impasto e su una parte versate la farcia. 


Ricoprite con l'altra metà.


Adesso con una formina ricavate dei fiori e metteteli su una leccarda foderata con carta forno. 


Infornate a 180° per 20 minuti circa. 


Una volta sfornati e freddi spolverizzateli con zcchero di canna a velo.






lunedì 19 marzo 2018

Minestra con salame pezzente




Il salame pezzente o del pezzente che figura nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali calabresi ( PAT ) è un insaccato di origini povere preparato con le parti meno pregiate del maiale e destinato alla tavola dei meno agiati. Un tempo le massaie dopo aver preparato i salumi più importanti utilizzavano, sempre nell'ottica della lunga  conservazione della carne e dell'utilizzare ogni parte del maiale, i tagli meno nobili per confezionare questo salume simile alla salsiccia. Cotiche, fegato, polmone, lardo ed anche le budella avanzate venivano tagliati a punta di coltello e impastati con peperoncino piccante, sale marino e in alcune zone anche finocchietto selvatico. L'impasto veniva poi insaccato e stagionato per almeno due settimane. In seguito era conservato nella sugna oppure nell'olio d'oliva. La tradizione suggerisce di usare il pezzente nella preparazione di sughi e minestre, in quanto essendo un pò più grasso in cottura rimane sempre morbido. Non è facile trovare questo salame, che resta comunque un prodotto artigianale, ma nei paesi dell'entroterra la lavorazione si tramanda ancora da madre in figlia e con un pò di fortuna si riesce ad averlo. E così come per altri prodotti della tradizione contadina, il salame pezzente, un tempo prezioso alimento per la tavola più povera, oggi è stato nobilitato ed è apprezzatissimo per il suo sapore unico ed inconfondibile.

Ingredienti
1 kg di verdure miste: cicoria, scarola, bieta
2 patate medie
2 salsicce del pezzente
1 spicchio d'aglio
peperoncino piccante secco
pecorino grattugiato
sale q.b.
olio evo
Preparazione
Sbollentate in abbondante acqua salata le salsicce per ben due volte in acqua pulita.


Questo procedimento serve per scaricare una parte del loro sapore intenso. Scolatele, tagliatele a rondelle e tenetele da parte. Lavate bene la verdura e lessatela insieme alle patate pelate in acqua salata. Scolatele, conservando qualche mestolo dell'acqua di cottura.


Fate imbiondire in una padella con l'olio d'oliva uno spicchio d'aglio e un peperoncino piccante. Spegnete. Adesso fate uno strato di verdure e patate, uno di salame pezzente e infine date una solverata di pecorino. Continuate ancora con verdura, salame e pecorino. 


Coprite la minestra con l'acqua di cottura tenuta da prte e lasciate stufare sul fuoco per 10 minuti. Quindi spegnete e lasciatela  riposare  prima di servirla.Ultimo accorgimento, non dimenticate di irrorare la minestra con un filo di olio santo.




domenica 11 marzo 2018

Crostata morbida con glassa al fondente




Bella e buona. E' inutile andare in cerca di altri aggettivi per descrivere questa golosità. E una volta assaggiata non la dimenticherete tanto facilmente: una frolla molto friabile, una soffice crema pasticcera con ricotta e uno strato di fondente che racchiude tanta dolcezza.
Ingredienti
Per la frolla
250 gr di farina 00
100 gr di margarina
120 zucchero
1 uovo
1 tuorlo
1 cucchiaino di lievito

Per la farcia
500 ml di latte
50 gr di amido di mais
150 gr di zucchero
3 tuorli d'uovo
250 gr di ricotta di pecora
1/2 tazzina di marsala

Per la glassa
200 gr di cioccolato fondente
200 ml di panna

Preparazione
Per prima cosa preparate la pasta frolla con il vostro solito sistema e una volta ottenuto un panetto omogeneo avvolgetelo nella pellicola e fatelo riposare in frigo per 30 minuti.
Mentre la pasta frolla riposa preparare la crema pasticcera. Una volta fredda unitevi la ricotta e il marsala e lavorate il tutto con le fruste in modo che la crema sia senza grumi. 
Con la frolla rivestite uno stampo da 26 cm, fondo e pareti e versatevi la crema. 


Infornate nel forno già caldo a 180° per 25/30 minuti. Una volta sfornata fate raffreddare la crostata e poi sformatela su un piatto da portata.


Infine preparate la glassa. Versate in un pentolino la panna e il cioccolato tagliato a pezzetti, mescolate a fuoco basso finchè il cioccolato non sarà sciolto e il composto sarà denso. Versate la glassa sulla superficie della crostata e mettetela in frigo a rassodare. Per la decorazione lascio decidere a voi, io ho utilizzato delle gocce di cioccolato bianco e un ovetto pasquale.



sabato 10 marzo 2018

Sbriciolona salata con le patate




Sbrisolona perchè ha le briciole della sua dolce gemella ed una consistenza più compatta del classico gateao di patate. E' un secondo piatto semplice da preparare che conquisterà sicuramente tutti per la sua bontà al primo assaggio.Un'idea facile e veloce per portare in tavola una torta salata con un aspetto diverso, ma anche un modo per riciclare gli avanzi del frigo.Io stavolta ho utilizzato provola e prosciutto, ma si possono cambiare di volta in volta gli ingredienti per gustare sapori sempre nuovi.
Ingredienti
1 kg di patate silane
2 uova
100 gr di farina
100 gr di parmigiano
sale q.b. 
burro q.b.
pangrattato
Per la farcia
uova sode
prosciutto cotto
provola fresca
Preparazione
Lessate le patate in abbondante acqua salata e poi passatele allo schiacciapatate. Versate la purea in una ciotola e impastatela con le uova, il parmigiano e la farina messa poco alla volta. Dovete ottenere un impasto un poco appiccicoso. Foderate una tortiera con carta forno e con le mani inumidite formate un guscio con una parte dell'impasto. Adagiate le fette di prosciutto cotto, la provola e le uova tagliate a spicchi. 


Coprite il tutto con il resto dell'impasto spezzettato in grosse briciole. Spolverate la superficie con il pangrattato e aggiungete dei riccioli di burro. 


Infornate la sbriciolona in forno ben caldo a 180° per circa 30 minuti e sfornatela quando si presenta ben dorata. Una vera golosità: un cuore morbido e filante racchiuso in una crosticina croccante!



venerdì 2 marzo 2018

Riso e scariola




L'Italia nel Piatto, 2 Marzo: Riso e tradizione

Il piatto scelto per questo apuntamento è un piatto della tradizione gastronomica calabrese, semplice e genuino, ideale per le fredde giornate invernali. In verità il riso non piace molto a noi calabresi, lo consideriamo ancora oggi un piatto "di magro" da consumare nelle minestre o "per pulire lo stomaco" dopo una grande abbuffata. E un vecchio proverbio recità così" Nu piattu 'e risu, pe' na ura ti teni tisu", il che vuol dire che il riso ti sazia per un'ora e poi sei costretto a mangiare nuovamente. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. 
Eppure anche in Calabria il riso si produce ed è pure di ottima qualità. Non tutti sanno che nella piana di Sibari il riso fu introdotto dai Greci nel III° secolo a. C., ma sembra che ai ricchi e goderecci sibaritidi questo cereale non piacesse molto, tanto che lo davano da mangiare ai loro schiavi. Oggi circa 600 ettari sono destinati a tale coltivazione, resa possibile perchè la Piana, di origine alluvionale, fu bonificata prima e dopo la seconda guerra mondiale. Il riso di Sibari oltre ad essere coltivato in questo territorio fin dagli anni 50, viene anche lavorato qui artigianalmente, mediante una sbramatura leggera e poco invasiva, capace di garantire un apporto nutrizionale migliore, un sapore più deciso e soprattutto una migliore tenuta alla cottura. Da una decina di anni l'intera fase produttiva, dalla semina al confezionamente, viene pure gestita in loco al contrario di quanto avveniva in precedenza quando il risone grezzo veniva venduto ai produttori del Nord. Diverse sono le varietà coltivate: Karnak, Arborio, Aromatico, Roma, ma è il Carnaroli che più di tutti si identifica con la Piana di Sibari. Ma nella Piana la coltivazione del riso è importante anche  per motivi sociali ed ecologici. La bonifica dei terreni salmastri  ne ha evitato la desertificazione ed ha creato nuovi posti di lavoro, una manna dal cielo per i tanti disoccupati. E in quella zona sono pure tornate le cicogne e tante altre varietà di uccelli.
Stiamo parlando di riso ed è giusto ricordare che in  Calabria non ci sono state le mondine, però  le nostre donne hanno da sempre svolto i lavori più umili e più duri: raccoglitrici di olive, di agrumi, contadine, manovali nelle costruzioni, per non parlare poi delle gelsominaie. Un lavoro, questo, svolto di notte in zone paludose lungo quella fantastica costa che oggi prende il nome di Riviera dei gelsomini. Un lavoro sottopagato, pensate che per ogni kg di gelsomini, circa 8000 fiori, percepivano 25 lire. Però la dignità del lavoro e del loro essere cittadine le portò a ribellarsi e a scioperare per ottenere i loro diritti. Correva l'anno 1959 e quelle donne, coraggiosamente, vinsero. Sono trascarsi oltre 60 ani da quei fatti, le gelsominae sono scomparse, ma il capolarato e lo sfruttamento restano ancora piaghe di una società...moderna.


Ingredienti
un cespo di scarola liscia
200 gr di riso, io Carnaroli di Sibari
1 spicchio d'aglio
1 peperoncino piccante 
sale q.b.
olio evo
caciocavallo


Preparazione
Pulite la scarola accuratamente e fatela cuocere in abbondante acqua salata. Scolatela, ma corservate l'acqua di cottura.
Cuocete il riso e scolatelo al dente.
 Mettete sul fuoco un tegame con l'olio evo, lo spicchio d'aglio e il peperoncino, fateli soffriggere appena e poi aggiungete la scarola tritata grossolanamente. Mescolate e fatela insaporire aggiungendo qualche mestolo della sua acqua di cottura. Appena riprende il bollore versate il riso e completate la cottura aggiungendo l'acqua necessaria per avere una minestra più o meno brodosa.  Infine mantecate con del caciocavallo grattugiato. Servite il riso e scarola caldo.





Trentino Alto Adige: Risotto al teroldego
Friuli Venezia Giulia: Budino di riso
Emilia Romagna: Risotto della primogenita
Umbria: Riso e patate
Sardegna: Arrosu casteddaju